Menu principale:
Pagina del poeta Massimiliano Zaino socio effettivo Accademia degli Artisti
Massimiliano Zaino è un giovane poeta di espressività letteraria eccezionale e fuori dalla norma.
Piemontese nasce il 7 agosto 1988.
La sua poetica si distingue dalla poesia contemporanea nella forma e nella metrica, possiamo ben dire che questo giovane autore oltre ad avere una cultura molto vasta che spazia in tutte le epoche, ha uno scrivere d'altri tempi che forse nemmeno egli stesso comprende la vera natura. La critica spesso spietata nei suoi confronti lascia ben capire a che livelli culturali versa la nostra Italia, e come al solito quando qualcuno si distingue in qualcosa invece di essere aiutato viene attaccato.... Comprendere la sua forma letteraria è molto arduo se non si è percorsa la letteratura tutta, ma chi è appassionato di letteratura classica può soltanto apprezzare e ammirare la sua poetica fuori dall'ordinario moderno. Non è una colpa quella di Massimiliano scrivere in questa maniera, ma un dono di cui egli ci rende partecipi con le sue pubblicazioni poetiche. Ammiriamone alcuni testi e soffermiamoci solo nella comprensione di menti che vanno oltre l'ordinario e non per questo devono essere soffocate, ma solo esposte dignitosamente insieme alla vera letteratura di tutti i tempi. Forse ha sbagliato i tempi Massimiliano ma di certo fa poesia e vera POESIA.
Spesso la sua poetica oltre a l'amore sigillo universale di tutti gli artisti di ogni tempo, ama viaggiare attraverso lo scorrere dei secoli e della storia narrando a parer dei sui studi le vicessitudini che tutti conosciamo e che nel tempo si modificano attraverso autori di alto contenuto culturale......
Raccolta 1812 PDF raccolta 1812 e altre composizioni.
Altre poesie di Massimiliano Zaino poeta e scrittore.
Il Castello dei Templari
Infuria ‘l verno. La Notte e la Morte
truci si sposano… e ‘l vento alacre
spira meschino, e copre le sacre
pietre d’un Tempio; e ‘l fosco castel
vicin si slancia dall’aride cime
ai nuvol grigi… e scruta i dirupi,
e intende cupo le strida de’i lupi,
e piange istrione le nebbie del ciel.
Ignude querce, col corpo vibrante
agl’elementi, lo coprono oscene;
e tutt’intorno, senz’ombra di bene,
le brume fosche sen vanno a soffrir,
e s’ode l’eco nell’aër spasmante
ripeter l’urla d’un bieco morir.
Ir va trottando l’infame Templare,
bianco è ‘l destriero… la croce è una vampa,
e tanto l’aura il sòn della zampa
ferrea ripete al nembo che muor.
Fuor da una sacca si veggon le chiome
che all’aër soffiano ràpìte in duol;
e l’albe gemme ondeggiano come
onde del mare che infrangonsi al suol.
Vuol questa vittima fuggir lo sgherro,
e grida e sbraita… e prega e si pente;
ma presso ‘l monte nessuno la sente,
ed è dannata ad eterno dolor.
Or la nasconde l’orrendo Templare,
e va al castello con celer galoppo;
e in sul portone un monaco zoppo
prende la preda e la fere nel cor.
Orror!.... La Notte quel calle divora,
copre l’impronte del formido eccesso;
e pur dal nuvolo quel ch’è successo
sembra ignorare… il Nume in sul Ciel.
Quest’è la rocca degl’empi assassini,
e gl’astri ardenti son occhi d’Inferno,
e l’aspra Notte… e ‘l gelido verno
lì son di Sàtana gl’empi fedel.
Echeggia al cielo un cor che salmodia…
che canta ligio al Calice santo;
e ‘l prete prega, congiunto ‘l suo guanto
col sangue terso, tra mille delir…
e dalle celle s’ascolta chi l’odia
gemer in strazio, con spenti sospir.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Domenica II Dicembre MMXII
Tempesta e Ispirazione
Scrivo, e in mio cor la polvere
d’un ermo s’alza e duole
mista col sangue esanime,
orba di stelle, e suole
cogliere i biondi granuli
d’un’Iri pinta d’ôr;
e la Tempesta -
Furia de’i ciel -
come un’impronta d’Ecate
sull’alba colma d’ira,
gemo e n’ascolto i fulmini…
ne sogno i cardi e i fior.
Urla di Vita piovono,
tònan di Morte l’acque,
e sento ‘l vento… è un pargolo
che iër soltanto nacque,
geme e lo culla l’etere
che lento si disfà.
Come coton di grandine
il pioppo invola i semi,
e questi son batuffoli
ricchi di grazie e spemi,
par che di maggio nevichi…
e solo ‘l cor lo sa.
Dal finestrello logoro
scorgo piegarsi i rami,
verdi capel d’un platano,
e i tersi e rosei stami,
e l’egre strigi cantano
sul fil d’un pio violin;
e rossi i nembi imbiancano
le mie aspre vene e cupe,
e i lampi, nervi isterici,
son bàratri di rupe,
ne cado e più non trovasi
altro che un reo Destin.
M’accoglie un negro fèretro
orbo di pioggia ostile,
più non respiro… soffoco
sepolto al sen d’aprile,
e quest’aprico loculo
mi seppellisce in ciel.
Piovo gemendo in bilico
stille di sangue impuro,
e ‘l cor sorride estatico
al nembo torvo e oscuro,
e allor mi vola l’Anima
a un prato pien di miel;
e sento poscia stringermi
da man di foco ‘l petto,
e l’aspre arterie pulsano
a un volto senza aspetto,
mi danno un bacio i turbini
e i palpiti in delir…
e l’orojoul ne scalpita
tra ‘l Tempo e tra l’Eterno,
tutt’è memoria angelica
e bianca come ‘l verno,
e intendo all’occhio un cucciolo
di serico desir.
Voce dal Ciel incognita
mi mormora alle tempie,
sìccome l’Ebe, un calice
colma, e fors’anche adempie
un sommo e gran proposito
dal Trono del Signor;
e mi sussurra un cantico,
ne sceglie ‘l soffio e ‘l metro,
e sono versi duttili
di bronzo, e ferro e vetro…
e in cor m’accorgo, mancami
Iddio, mi manca Amor.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Martedì XXVIII Maggio MMXIII
Una Donna. Volto d’un Sogno
Chi sei tu, oh donna in fascino
d’un astro ignoto? Forse
un dolce sogno anonimo
che un dì seren mi morse…
un ciel di sogni frivoli
e un pungolo nel cor;
ed io ti veggo all’etere
dell’imbrunir, laddove
chiudo pensosa l’iride
che fresca si commòve,
e in sul gemente vespero
ti scorgo spesso; e ognor
sento che inquieto soffoco,
privo di spiro e fiato,
in sul crudele ònere
di tanto sogno orbato,
e come orror mi strangola
un senso… il Tempo… un mar,
e son sepolto d’attimi
di baci mai compiuti,
il crin s’imbianca e giovine
molt’anni ha già perduti,
e senza un cor di femmina
m’è tedio l’invecchiar.
Eppur di Notte affiggemi
la tua marmorea bocca:
mi svezza ‘l collo e al morbido
labbro un bel bacio schiocca…
a viso a viso, io palpito
e palpiti anche tu;
e attigue veggo l’iridi
degli occhi tuoi sì azzurri,
belle pupille estatiche,
e donde tu sussurri
miel d’un parlar romantico
son mille gioje e più…
e come un’orma torrida
d’un spir a nivea brezza,
scorgo ‘l passar degli aliti
dai nostri labbri, e olezza
un roseo e lieto balsamo
che mormora al tuo sen….
E ‘l tuo sospir angelico
è un folle vin che bevo,
un sol respiro impazzasi
dal nostro cor coëvo….
Ahi quant’io t’amo, oh femmina,
e quanto io vò ‘l tuo ben!
Ti sogno ancora, e sciolgoti
le bionde trecce in crema,
le gemme al crin e i fertili
giojel d’un pio diadema,
e tanti effluvi iscoppiano
d’un casto accarezzar;
ed il tuo sen m’è un docile
cuscin di lisce piume,
bianco e dorato e candido
ir di celeste lume,
t’ascolto gaudio e prospero
il core palpitar.
Uno, due, tre ed un battito…
lo sento, ‘l veggo e pulsa,
e cento e mille palpiti
vanno alla destra insulsa
e son gli spilli validi
che pungonmi ‘l dormir.
È un sogno infausto, un incubo
che sempre si rinnova,
sempre tu se’ l’angelica
donna che ‘l cor mi cova.
Se’ tu una Musa altissima?
Sei dama, ‘l vò sentir!
Dì… ai tuoi Cieli ai nuvoli
che in veglia son solingo,
che piango e bacio i turbini
d’un ciel che va ramingo…
che le mie preci chieggono
i pregi dell’Amor,
che voglio amarti l’anima,
baciarti ‘l labbro e ‘l mento…
che teco bramo vivere
tra Sol e neve e vento.
Basta co’i sogni! Stringere
vò ‘l mio… al tuo bel cor.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Mercoledì, Giovedì XV, XVI Maggio MMXIII
Un Pianto d’Amore incompiuto
Piango e m’angoscio in fremiti
di stizza infame e inerme,
volo al soffrir ignobile
che infetta come un germe;
e dal mio core l’anima
grida furente e muor.
Come una goccia reduce
da un nembo odioso e tetro,
cade sul suol la lagrima…
s’infrange come un vetro;
e dall’assillo estatico
sento che fu, l’Amor.
Piango e m’atterro e in gemiti
scorro la Notte insonne,
l’ombre discerno e i balsami
e i gelsi delle donne;
e tra costoro l’ultima
la mia saëtta fu.
Come un pianforte pallido
che grida ardente al vento,
sento che ‘l pianto m’ansima…
che ‘l cor mi batte a stento;
e da quel sòn che palpita
non la riveggo più.
Piango e m’uccido in lirici
sogni di fiori e baci,
mesti e incompiuti aneliti
che in Notte van rapaci;
e questa donna mormora
tra l’urla e i miei sospir.
Come una fiamma luccica
in sulla cripta oscura,
ella m’inquieta e l’incubo
per lei ancor perdura;
e da tal brama pronuba
prolunga ‘l mio martir.
Docile fiamma, piccola
spene nel cor felice,
senti! È ‘l segreto impavido
che or ti parla; e dice
che sei tu sola ‘l nobile
Sole del mio pensier…
e piango ancora e lagrimo,
prostrato a terra e illuso,
come l’incanto debile
d’un mesto e spento muso…
ed il silenzio fulmina
da’i nembi del dover.
Sento e assaporo incredulo
l’aspro fetor de’i morti
sogni, de’i bianchi palpiti
che vanno al sonno assorti;
e l’egro ciel mi pingono
le stelle un negro asil.
Come un velen di vipera
s’infiamma al tosto morso,
del pianto ‘l sale e l’iride
mi pascono d’un sorso;
e mi percòte ‘l spasimo
nel cor come uno spil.
La vidi un giorno e piacquemi,
in petto udii l’Amore…
mi piacque ‘l ciglio e femmina
mi piacque ‘l suo candore;
ed il suo crine in tenebra
di luce ‘l mio giovò.
La scorsi bella e giovine,
ridente e fresca e onesta…
mi stette accanto e libera
nel verno d’una festa;
ed il suo nom di cenere,
di foco allor tònò.
Piango, e perché adultero
mi rende tal desiro
lagno la sorte lurida
e tristo poi deliro;
ed il Destin terribile
men vado ad imprecar…
ed ella è d’altri, ahi misero,
e d’ignorar me finge…
e questo ciel di lagrime
in cor il duol mi pinge…
e qui non ha più termine
l’estro del mio gridar.
Foco che infiamma flebile
costei sarà per sempre…
piango irrequieto ed ansimo
e qui non ho più tempre,
laddove sento l’anima
che gonfiasi d’Amor.
Ma la sua lira ‘l funebre
sòno d’esequie canta,
ed il mio cor tra’i palpiti
di strazi allor s’ammanta;
e questo ch’è desiderio
molle s’acqueta… e muor.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Venerdì XXIX, Sabato XXX Marzo MMXIII
Un Crepuscolo
Viene la sera, e idillica
soffia la cheta brezza,
i sacri bronzi annunziano
i vespri santi; e spezza
l’aër del ciel equivoco
l’ombra del Sol che muor…
e ‘l campanile angelico
l’eco conduce ai boschi,
e ‘l martellar instabile
corre in su’i nembi foschi,
e dalla pia basilica
s’alza ‘l rosario allor.
Vanno a dormir le rondini
ne’i freschi e dolci nidi,
stormi di svassi salgono
dall’acque ai lieti lidi,
strillano ancor, starnazzano
e ai sogni poi sen van;
e ‘l rivo inquieto e torbido
al ner del ciel si stagna,
dappresso i rovi orribili
s’erge una bianca ragna,
le rane e i grilli cantano,
e ‘l Sol sen va lontan…
e rosea come ‘l petalo
d’un vellutato fiore,
dipinta d’oro e pallida
sìccome un cor che muore,
brilla la bianca nuvola
che copre ‘l cruor lunar,
e l’orizzonte palpita
ai piè dell’empia Notte,
veste le querce e i platani,
le pietre e l’alte grotte,
e molle dà ‘l sonnifero
al gregge, e vuol sognar.
Qual fosse fumo e un torrido
velo d’atroce lutto,
punge una mano in tenebra
del ciel l’inquieto flutto,
giunge ‘l notturno attimo
e ‘l cheto sonno va;
e in sull’aurette i nuvoli
vanno a spogliar la Luna,
l’ôr del tramonto in subita
cera si cangia bruna,
e ‘l roseo fiore placasi
chè più a vegliar non sa.
Ne’i bei giardin i petali
chiudonsi ai nembi oscuri,
di ner feroce pingonsi
i bianchi e chiari muri,
dorme la rosa e ‘l bòcciolo
si culla in tal dormir;
e ‘l girasole chinasi
qual strangolata gola,
le margherite dormono
sotto uno stral che vola
d’inquieta stella in fregola
che fresca va a frinir.
Grida molesta l’upupa
dal fil d’un tetro pioppo,
il rosignuolo spasima
in mezzo a un vento zoppo,
e dalle frasche mormora
d’un merlo ‘l becco insan;
e ‘l gufo incauto nutresi
d’un astro aulente e fresco,
si copre ‘l sommo salice
di brine, e ‘l dolce desco
della dorata resina
cola in su’i fior lontan.
Ma tra le brume estatiche
scorgesi un’ombra altera,
giace seduta in brividi
e scioglie una preghiera,
e tutta è avvolta in spasimi,
spettri d’oscur dolor;
ed è un poëta, un ràpsodo
che ‘l ciel adamantino
lagna represso in lagrime
sul far del suo mattino…
sogna, riposa ed ansima
e lagnasi d’Amor.
Massimiliano Zaino di Lavezzaro
Domenica V Maggio MMXIII